I Testimoni di Geova sono noti per le loro regole rigide, la neutralità rispetto al “mondo” e l’invito alla modestia in ogni aspetto della vita.
Ora immagina di applicare questi principi al mondo del calcio professionistico:
partite domenicali, celebrità, sponsor, inni nazionali, euforia dei tifosi, premi personali.
Apparentemente, è un cortocircuito.
Eppure, ci sono stati — e ci sono — calciatori che hanno scelto di aderire a questa religione. Alcuni ci sono cresciuti. Altri si sono avvicinati nel corso della carriera. Qualcuno ha abbandonato per non rinunciare alla libertà. Altri hanno rinunciato al calcio… per non rinunciare a Geova.
Ma cosa significa davvero essere un calciatore Testimone di Geova?
1. Introduzione: quando la fede entra in campo
Nel mondo JW, lo sport professionistico non è visto con simpatia.
Non per il gesto atletico in sé, ma per tutto ciò che comporta:
- Ambizione personale
- Esposizione mediatica
- Festeggiamenti, inni, strette di mano politiche
- Possibilità di compromettere la “neutralità cristiana”
Eppure, il talento esiste anche tra i banchi della Sala del Regno.
E ci sono giovani che sognano di diventare calciatori, ma che devono fare i conti con un sistema che non li sostiene, ma li mette alla prova.
In questo articolo esploreremo:
- Chi sono i calciatori che hanno avuto legami con i Testimoni di Geova
- Come si concilia (o si scontra) la carriera sportiva con la vita teocratica
- Le rinunce, i compromessi, le riflessioni personali di chi ha vissuto questa doppia identità
Perché tra il campo da calcio e la Sala del Regno, spesso c’è un confine che si chiama: coscienza.
2. Calcio e Testimoni di Geova: un binomio possibile?
Testicoli di Genova: Cronache tragicomiche dal mondo delle visite a domicilio
Un’esilarante satira religiosa che ti farà ridere, riflettere e non rispondere mai più al campanello. Il libro sui Testimoni di Geova come non l’hai mai letto prima!
a) Le regole dell’organizzazione e la carriera sportiva
L’organizzazione dei Testimoni di Geova impone una serie di norme comportamentali molto precise.
Chi desidera essere considerato “attivo e spiritualmente approvato” deve:
- Evitare la ricerca della gloria personale
- Non mettere il lavoro o il successo davanti al “regno”
- Partecipare regolarmente alle adunanze e all’opera di predicazione
Una carriera da calciatore, che implica esposizione mediatica, allenamenti costanti, sponsor e ritmi di vita intensi, cozza inevitabilmente con questo modello di vita.
Per questo motivo, molti giovani talentuosi cresciuti nei Testimoni si vedono costretti a scegliere tra due percorsi: la fede… o il sogno.
b) Conflitti tra orari di culto e orari delle partite
Le adunanze si tengono due volte a settimana, spesso in orari serali e nel weekend.
Le partite, specialmente nei campionati giovanili e dilettantistici, si giocano proprio il sabato o la domenica.
Questo crea un conflitto pratico insormontabile.
Alcune famiglie JW impediscono ai propri figli di partecipare alle partite, preferendo che siano presenti alle riunioni spirituali.
Altri, pur di non mancare al culto, abbandonano il calcio o rifiutano provini importanti.
Il risultato? Un talento che non sboccia mai… o che si spegne per obbedienza.
c) La questione della neutralità e della fama
Un Testimone di Geova deve rimanere “neutrale” rispetto al mondo:
- non può cantare inni nazionali,
- non può esultare in modo eccessivo,
- non può prendere parte a celebrazioni “idolatriche”.
Nel calcio, però, la celebrazione del sé è parte integrante del gioco.
Chi segna, chi vince, chi viene premiato… riceve applausi, attenzione, ammirazione.
Per i Testimoni più conservatori, tutto ciò può rappresentare una forma di superbia o idolatria.
E anche se ufficialmente non è vietato fare sport, la pressione comunitaria tende a scoraggiare ogni carriera troppo “mondana”.
3. Calciatori famosi legati ai Testimoni di Geova
a) Storie note a livello internazionale
Nel panorama calcistico internazionale, alcuni nomi hanno avuto — o hanno ancora — un legame con i Testimoni di Geova:
- Peter Knowles, ex calciatore inglese del Wolverhampton, lasciò il calcio nel 1969 all’età di 24 anni per diventare Testimone a tempo pieno. Era uno dei giovani più promettenti del calcio britannico.
- Iván Alonso, ex attaccante uruguaiano, ha parlato della sua fede JW come una guida morale nella vita, anche se oggi non è chiaro se sia ancora attivo nella congregazione.
- Gilberto Silva, centrocampista brasiliano campione del mondo nel 2002, ha dichiarato pubblicamente di essere stato influenzato da insegnamenti JW in famiglia.
Queste storie mostrano come la fede possa incidere profondamente sulle scelte professionali, anche ai massimi livelli.
b) Giocatori italiani cresciuti tra i Testimoni
In Italia, pochi calciatori hanno parlato apertamente di un legame con i Testimoni, ma alcune testimonianze circolano tra ex membri e in contesti locali:
- Ci sono stati giocatori di Serie C e D cresciuti nella fede JW, che hanno poi abbandonato l’organizzazione per continuare la carriera sportiva.
- Alcuni hanno raccontato di aver rifiutato convocazioni o premi per non “compromettere la coscienza”.
- Altri sono rimasti nella congregazione, limitando però le proprie ambizioni.
Molte di queste storie non sono pubbliche, ma emergono nei forum, nei racconti personali e nelle testimonianze raccolte negli anni.
c) Ex calciatori che hanno raccontato la loro esperienza
Alcuni ex giocatori hanno avuto il coraggio di raccontare il peso delle regole religiose nella loro formazione.
C’è chi ha parlato di:
- Sentirsi in colpa per ogni esultanza
- Dover giustificare ogni assenza al ministero
- Subire pressioni dalla congregazione per abbandonare lo sport
Molti di questi racconti non compaiono sulle testate sportive, ma nei blog, nei libri, nei podcast indipendenti.
E rappresentano la voce silenziosa di chi ha dovuto scegliere tra un sogno e una religione.
4. Come vivono la fede nel mondo dello sport
Testimoni di Geova e Bibbia: Setta o Vera Religione?
Un’indagine profonda su dottrine, controllo mentale e testimonianze inedite. Il libro per chi vuole conoscere la verità dietro una delle religioni più controverse del nostro tempo.
a) La difficoltà di conciliare carriera e ministero
Il “ministero” — ovvero l’attività di predicazione porta a porta — è obbligatorio per un Testimone di Geova attivo.
Ogni mese bisogna compilare un rapporto con le ore spese nel servizio.
Ma come può farlo un calciatore professionista, con allenamenti quotidiani, trasferte e partite?
La verità è che molti giovani JW che provano a fare entrambi finiscono per vivere una doppia vita:
in campo fanno il loro dovere, in congregazione devono giustificarsi continuamente.
b) Il rifiuto di celebrazioni, inni, sponsor e premi
Tra gli elementi più problematici per un calciatore JW ci sono:
- L’inno nazionale prima delle partite (che molti rifiutano di cantare per motivi di neutralità)
- Le sponsorizzazioni legate a marchi considerati “immorali” (alcol, gioco d’azzardo, ecc.)
- Le premiazioni pubbliche, considerate manifestazioni di orgoglio
Tutto questo crea frizioni continue tra fede e professione, e porta spesso a un senso di isolamento o conflitto interiore.
c) L’importanza della comunità JW nello spogliatoio
In alcuni casi, avere fratelli di fede nello stesso ambiente sportivo può essere un sollievo.
Ma nella maggior parte dei casi, i giovani Testimoni si trovano soli, circondati da compagni che non capiscono le loro rinunce o convinzioni.
Questo può generare:
- Vergogna nel parlare apertamente della propria fede
- Conflitti interiori legati alla propria identità
- Scelte estreme, come l’abbandono del calcio per “rimanere puri”
In ogni caso, la presenza di Testimoni nel calcio resta un fenomeno marginale… e spesso silenzioso.
5. Le sfide dei giovani calciatori Testimoni di Geova
a) Scelte drastiche: carriera o congregazione?
Per molti giovani Testimoni con talento calcistico, arriva prima o poi il momento della scelta.
Le richieste della congregazione — adunanze, predicazione, vita “teocratica” — sono incompatibili con una carriera sportiva a tempo pieno.
E la comunità, anziché cercare soluzioni, spesso propone una sola strada: rinunciare.
Così, a 13, 15 o 17 anni, ragazzi con sogni, provini e passione si trovano a scegliere tra due mondi.
E non è una scelta libera: è una scelta condizionata da sensi di colpa, aspettative familiari e timore del giudizio.
b) Storie di rinunce e pressione familiare
Ci sono storie — mai raccontate sui giornali sportivi — di giovani che hanno:
- rifiutato contratti giovanili per non saltare le adunanze
- abbandonato gli allenamenti per “dedicarsi di più a Geova”
- vissuto in silenzio il conflitto tra ciò che amavano e ciò che gli veniva chiesto
Dietro a ogni rinuncia, spesso c’è una madre devota, un padre anziano, una congregazione che sorveglia.
La pressione non è esplicita. Ma si fa sentire. Eccome.
c) Il peso del giudizio spirituale sul successo
Nel mondo JW, il successo “mondano” è guardato con sospetto.
Un giovane troppo entusiasta della propria carriera rischia di essere considerato spiritualmente debole, distratto, orgoglioso.
Il risultato?
Ogni gol, ogni convocazione, ogni vittoria… può diventare un motivo di disagio.
Chi resiste, lo fa spesso isolandosi.
Chi cede, lo fa con la sensazione di essere finalmente “in regola”, ma con il cuore spezzato.
E tanti, troppo spesso, spariscono dal campo senza che nessuno sappia il perché.
6. La mia riflessione personale
a) Quando scoprii che anche nello sport c’erano “dei nostri”
Da ragazzo, sentivo parlare di Testimoni famosi: cantanti, attori, atleti.
Quando scoprivo che un calciatore era “dei nostri”, provavo un misto di sorpresa e orgoglio.
Pensavo:
“Allora si può essere fedeli… e vincenti!”
Ma poi iniziavo a farmi domande.
Perché molti sparivano? Perché non se ne parlava mai nei discorsi pubblici?
Il sospetto cresceva. Ma non si poteva dire.
b) L’illusione di compatibilità tra libertà e controllo
Oggi so che quella compatibilità era un’illusione.
Nel mondo JW, puoi essere tutto… finché non sei troppo.
Puoi essere sportivo… ma non competitivo.
Puoi avere talento… ma non devi farlo brillare.
Era una religione che diceva “non sei come il mondo”, ma ti giudicava se uscivi fuori dal coro.
E lo sport, come l’arte, è voce, espressione, identità.
Non può essere limitato. Né spiritualmente sterilizzato.
c) Oggi: rispetto chi crede, ma anche chi sceglie se stesso
Oggi guardo con rispetto chi sceglie sinceramente una fede.
Ma rispetto ancora di più chi, di fronte a un bivio tra obbedienza e libertà, sceglie di essere se stesso.
Perché Dio — se c’è — non può chiederti di soffocare ciò che sei.
E se un giorno mio figlio volesse fare il calciatore, non gli direi “scegli tra il pallone e il paradiso”.
Gli direi:
“Vai. Gioca. Sii libero. E se vuoi, parlane con Dio. Ma non con chi vuole controllarti in suo nome.”
7. I miei libri consigliati per approfondire
a) Testicoli di Genova: satira e identità personale
Un romanzo autobiografico e graffiante, dove racconto con ironia e amarezza le contraddizioni vissute nella mia esperienza tra fede e controllo.
Non è un libro “contro”, ma un libro che libera. Anche chi ha dovuto rinunciare a essere se stesso.
b) Testimoni di Geova e Bibbia: analisi dottrinale e storica
Un saggio essenziale per chi vuole comprendere come la dottrina JW si sia costruita nel tempo, confrontandola con il testo biblico e con le dinamiche psicologiche che reggono il sistema.
c) Dove trovarli e perché leggerli oggi
Entrambi sono disponibili su Amazon, in formato cartaceo e Kindle.
Li consiglio a:
- Chi ha vissuto (o vive) il conflitto tra vocazione e religione
- Chi cerca risposte senza dogmi
- Chi vuole ritrovare se stesso, una pagina alla volta
8. Conclusione
a) La fede non dovrebbe spegnere il talento
La fede dovrebbe elevare, non reprimere.
Ma troppe volte, nella mia esperienza e in quelle che ascolto ogni giorno, vedo che la fede organizzata spegne sogni, passioni, vocazioni.
Il calcio, come l’arte, è una lingua dell’anima.
E nessun Dio dovrebbe tapparci la bocca se vogliamo parlare con quella lingua.
b) Il diritto di scegliere il proprio campo… anche quello da gioco
Essere Testimone di Geova non è solo credere in Dio.
È entrare in un sistema che regola ogni ambito della vita, compreso quello che fai il sabato pomeriggio.
Ma ognuno ha diritto di scegliere il proprio campo.
Anche se si chiama stadio. Anche se ha l’erba vera. Anche se là fuori ci sono persone che ti applaudono.
c) Invito alla libertà di coscienza e all’autenticità
Se sei arrivato fino qui, forse è perché ti sei fatto una domanda.
O conosci qualcuno che si è trovato in bilico tra due mondi.
A te voglio dire solo questo:
non si è mai troppo giovani per capire che la verità non può essere imposta.
E non si è mai troppo grandi per decidere di essere finalmente autentici.
Ora non mi resta che augurarti buona permanenza su Soldionline.biz!
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