I Testimoni di Geova battezzano i figli? Sì, ma non da neonati. E il problema è proprio questo.
Ufficialmente, i Testimoni di Geova rifiutano il battesimo infantile, condannando la pratica della Chiesa cattolica come priva di valore perché imposta, non scelta. A parole, dicono di battezzare solo chi è in grado di “prendere una decisione consapevole”.
Ma nella realtà, i candidati al battesimo sono sempre più giovani. Ragazzini di 10, 11, 12 anni che, pur di sentirsi parte dell’organizzazione, si immergono in un patto che non comprendono fino in fondo.
Perché tra i Testimoni di Geova, il battesimo non è un semplice atto religioso: è un vincolo permanente, un contratto di lealtà alla Torre di Guardia, dal quale è difficilissimo uscire senza conseguenze.
E quando questo legame viene imposto — sì, imposto — a un bambino, la parola “scelta” perde completamente senso.
In questo articolo analizzerò se e come i Testimoni di Geova battezzano i figli, cosa comporta questa “scelta” precoce, quali meccanismi psicologici e dottrinali spingono i minori al battesimo, e cosa succede quando, da adulti, iniziano a mettere tutto in discussione.
Compresa la loro libertà.
Perché a volte non serve l’acqua di un battesimo forzato per lavare via la coscienza. Serve la verità.
1. I Testimoni di Geova battezzano i figli?
a) Niente battesimo da neonati, ma attenzione ai giovanissimi
È vero: i Testimoni di Geova non battezzano i neonati. A differenza della Chiesa cattolica, ritengono che il battesimo debba essere una decisione personale, presa quando il candidato ha “piena coscienza della sua fede”.
Ma cosa significa davvero, nella pratica?
Significa che non troverai neonati immersi nell’acqua, ma è molto facile trovare bambini di 9, 10 o 12 anni che si battezzano durante le assemblee. E questo, secondo la narrazione ufficiale, rappresenterebbe una “scelta consapevole”.
La realtà è che questi ragazzi sono cresciuti fin da piccoli con l’idea che il battesimo sia il passo obbligato per piacere a Geova e per essere accettati dalla congregazione.
Il risultato? Un battesimo “consapevole” solo sulla carta, ma fortemente condizionato a livello emotivo, sociale e familiare.
b) Il battesimo in età precoce come “scelta consapevole”
La Torre di Guardia insiste sul fatto che ogni giovane deve arrivare al battesimo per convinzione personale. Eppure, il contesto dice tutt’altro.
Fin dalla tenera età, i bambini vengono spinti a:
- commentare alle adunanze
- partecipare alla predicazione porta a porta
- rispondere con entusiasmo quando viene chiesto “chi desidera battezzarsi?”
In famiglia, nelle congregazioni, tra coetanei, il messaggio è chiaro: prima ti battezzi, meglio è.
Chi non lo fa “non è ancora maturo spiritualmente”, chi lo fa viene lodato e portato come esempio.
E così, anche un bambino che non comprende appieno le implicazioni, può arrivare a firmare — inconsapevolmente — un contratto a tempo indeterminato con l’organizzazione.
2. Come funziona il battesimo tra i Testimoni
Testicoli di Genova: Cronache tragicomiche dal mondo delle visite a domicilio
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a) Le domande preparatorie e il colloquio con gli anziani
Prima di essere battezzati, i giovani devono rispondere a un lungo elenco di domande, suddivise in capitoli, tratte da un manuale ufficiale. Si tratta di un vero e proprio esame, durante il quale gli anziani della congregazione valutano se il candidato è “pronto” per il battesimo.
Il punto è che questo processo non valuta tanto la consapevolezza spirituale, quanto il grado di obbedienza e di conoscenza dottrinale.
Domande su Geova, su Gesù (inteso come creatura subordinata), sul Corpo Direttivo, sulla predicazione, sull’ostracismo.
E tutto questo viene richiesto anche a ragazzini che magari devono ancora finire le scuole medie.
b) La formula che vincola all’organizzazione
Ma il passaggio più delicato è quello che avviene davanti a tutti, poco prima dell’immersione in acqua. Il candidato, microfono alla mano, deve rispondere “sì” a due domande, l’ultima delle quali lo impegna esplicitamente nei confronti dell’organizzazione di Geova.
Non verso Dio, non verso Cristo, non verso la propria coscienza. Verso l’organizzazione.
Da quel momento, tutto cambia: ogni comportamento sarà giudicato non sulla base della legge morale o del rapporto con Dio, ma in base alla lealtà verso la struttura.
Chi viene battezzato è un membro a tutti gli effetti. Anche se ha 11 anni. Anche se non ha idea di cosa lo aspetta.
E se un giorno vorrà andarsene?
Sarà trattato come un apostata. Anche se era solo un bambino quando ha detto “sì”.
3. Le conseguenze di un battesimo precoce
a) Disassociazione e punizioni spirituali anche sui minori
Uno degli aspetti più inquietanti del battesimo precoce tra i Testimoni di Geova è che non prevede margini di tutela.
Chi si battezza, a qualunque età, viene trattato come un adulto a tutti gli effetti dal punto di vista spirituale e disciplinare.
Questo significa che un ragazzo battezzato a 11 anni, se a 15 comincia a “deviare”, può essere ammonito, sorvegliato… e persino disassociato.
E la disassociazione non è una formalità: comporta l’ostracismo totale da parte di amici, parenti, genitori, fratelli.
Anche se sei minorenne. Anche se hai detto quel “sì” sotto pressione, senza capire davvero cosa stavi firmando.
b) La pressione invisibile a conformarsi
Un bambino o un adolescente che cresce nella congregazione è costantemente esposto a un sistema di aspettative silenziose.
Non viene obbligato esplicitamente al battesimo, ma viene lodato se si dimostra “maturo”, guardato con sospetto se esita troppo, ignorato se si allontana.
Il bisogno umano di sentirsi accettati, amati, valorizzati… viene strumentalizzato.
E così, la scelta che dovrebbe essere il frutto di un percorso interiore diventa un atto di conformità sociale e familiare.
E la vera domanda resta: è possibile dire “no” davvero, se da quel “no” dipendono affetto, approvazione e identità?
4. Esperienza personale: battezzato troppo presto
Testimoni di Geova e Bibbia: Setta o Vera Religione?
Un’indagine profonda su dottrine, controllo mentale e testimonianze inedite. Il libro per chi vuole conoscere la verità dietro una delle religioni più controverse del nostro tempo.
a) Il desiderio di sentirsi accettato
Quando mi battezzai, non lo feci per una rivelazione spirituale. Lo feci perché volevo essere accettato.
Vedevo i miei amici che ricevevano complimenti, attenzioni, venivano considerati “esempi” da seguire.
Io volevo sentirmi parte del gruppo. Volevo che mio padre fosse fiero. Volevo essere “un fratello maturo”, anche se dentro ero solo un ragazzo pieno di domande.
Nessuno mi chiese se ero davvero pronto. Mi bastò rispondere bene alle domande.
E il giorno in cui mi immersi nell’acqua, mi dissero che avevo appena fatto “la scelta più importante della mia vita”.
Ma io non avevo scelto. Avevo solo eseguito.
b) Il peso di un impegno che non avevo compreso
Negli anni successivi, quel “sì” che avevo pronunciato senza troppe riflessioni diventò una catena.
Ogni volta che dubitavo, ogni volta che commettevo un errore, ogni volta che mi sentivo in colpa… tornava quel pensiero:
“Ti sei battezzato. Hai fatto un patto. Ora devi obbedire.”
Ma io non avevo capito le implicazioni. Non sapevo che quel gesto mi avrebbe vincolato per sempre, e che per liberarmene avrei dovuto perdere tutto: relazioni, rispetto, famiglia, identità.
Mi ci sono voluti anni per capire che non si può firmare un contratto spirituale a 12 anni.
E ancora più tempo per capire che quel contratto non valeva nulla… se non era davvero mio.
5. I miei libri: l’infanzia spirituale sotto sorveglianza
a) Testicoli di Genova: il battesimo come prova di fedeltà
Nel mio romanzo Testicoli di Genova, ho raccontato il battesimo geovista dal punto di vista di chi lo vive senza capirlo.
Nel libro, il protagonista si ritrova immerso in una macchina organizzativa dove ogni gesto è carico di aspettative, ogni scelta è un atto di obbedienza, ogni rito è svuotato di spiritualità.
Il battesimo, più che un simbolo di fede, diventa una prova di lealtà. Non si tratta di credere, ma di allinearsi. Di dimostrare che sei “pronto” a essere controllato, monitorato, giudicato.
E poco importa se hai tredici anni e stai ancora cercando chi sei: l’importante è che dici “sì” davanti a tutti.
b) Testimoni di Geova e Bibbia: libertà di fede o indottrinamento?
Nel mio saggio Testimoni di Geova e Bibbia, ho approfondito il concetto di indottrinamento nei confronti dei minori.
Non si tratta solo di educazione religiosa. È una costruzione sistematica dell’identità, che parte dall’infanzia e culmina con il battesimo.
Il messaggio è chiaro: non esiste salvezza fuori dall’organizzazione. E chi cresce in questo contesto, non è davvero libero di scegliere, perché ogni alternativa è demonizzata, ogni dubbio è sospetto, ogni passo indietro è punito.
E allora la domanda non è più “perché i Testimoni di Geova battezzano i figli?”
Ma: che libertà resta a un figlio che è stato convinto che solo il battesimo può renderlo degno d’amore?
6. Conclusione: scelta libera o firma anticipata su un contratto?
Il battesimo dovrebbe essere un atto di fede consapevole, un momento di connessione profonda tra l’individuo e il divino.
Ma nel mondo dei Testimoni di Geova, diventa spesso una firma anticipata su un contratto che il bambino non ha scritto, ma che sarà costretto a rispettare per tutta la vita.
Non si può parlare di “scelta” se chi sceglie non conosce le alternative.
Non si può parlare di libertà se l’unica strada proposta è quella dell’obbedienza cieca, pena la perdita dell’intero mondo che ti circonda.
E allora, prima di dire che i Testimoni di Geova non battezzano i neonati, bisognerebbe chiedersi:
un battesimo a 11 anni, vissuto sotto condizionamento, è davvero più libero… o solo più subdolo?
Ora non mi resta che augurarti buona permanenza su Soldionline.biz.
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