I Testimoni di Geova fanno la comunione? Scopri cosa accade davvero durante questo evento

da | 28 Mar 2025 | Crescita Personale, Religione, Sette Religiose

I Testimoni di Geova fanno la comunione? Una domanda semplice, una realtà molto più complessa

Nel cristianesimo tradizionale, la comunione è un gesto di partecipazione profonda, il simbolo per eccellenza dell’unione tra il credente, Cristo e la comunità. È un atto condiviso, accessibile, offerto a chiunque voglia vivere un legame spirituale autentico.

Ma cosa succede se ci spostiamo nel mondo dei Testimoni di Geova? I Testimoni fanno la comunione? La risposta breve è no. La risposta completa è: no, e quel “no” dice molto di più di quanto sembri.

Nel loro caso, la comunione viene sostituita da una cerimonia annuale chiamata “commemorazione della morte di Gesù”, durante la quale pane e vino vengono fatti passare tra i presenti, ma quasi nessuno li prende. Solo pochi eletti, i cosiddetti “unti”, sono autorizzati a partecipare a quello che, tecnicamente, non è nemmeno definito un atto di comunione.

In questo articolo analizzeremo cosa succede davvero durante quella commemorazione, quali sono le motivazioni dottrinali dietro l’esclusione, e cosa significa, dal punto di vista umano e spirituale, essere presenti a un gesto carico di significato… ma vietato alla quasi totalità dei fedeli.

Ti racconterò anche la mia esperienza personale, vissuta non come nostalgia di un rituale religioso, ma come riflessione su quanto un semplice gesto possa dividere invece di unire.

Perché alla fine, la vera domanda non è se i Testimoni di Geova fanno la comunione. La vera domanda è: che tipo di comunione può esistere in una fede che nega il gesto stesso di partecipare?

1. Cos’è la comunione nel cristianesimo

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a) Il significato spirituale e comunitario

Nel cristianesimo tradizionale, la comunione rappresenta uno dei momenti più profondi di connessione tra il fedele e la figura di Gesù. Attraverso il pane e il vino — simboli del corpo e del sangue di Cristo — il credente entra in un atto di memoria, riflessione, e comunione spirituale. Ma non si tratta solo di qualcosa di verticale (tra individuo e divinità): è anche un gesto orizzontale, che unisce la comunità.

Partecipare alla comunione significa sentirsi parte integrante di un insieme, riconoscersi nel cammino condiviso della fede, accogliere l’altro nella stessa esperienza. È un atto pubblico, visibile, e al tempo stesso intimo.

b) La partecipazione di tutti i credenti

In quasi tutte le confessioni cristiane, la comunione è aperta a tutti i fedeli battezzati. Nessuno deve alzarsi a metà rito per far passare pane e vino senza prenderli. L’invito è esteso, non selettivo. E sebbene anche qui esistano gerarchie e liturgie, il principio resta quello dell’accessibilità universale: “Prendete e mangiate… fate questo in memoria di me.”

In questo contesto, la comunione diventa ciò che il termine suggerisce: unione. Con Dio, con gli altri, con sé stessi. Non conta a quale livello della scala religiosa tu sia: sei partecipe. Punto.

2. I Testimoni di Geova fanno la comunione?

a) La commemorazione annuale: cosa succede

No, i Testimoni di Geova non fanno la comunione. Quello che celebrano è una commemorazione annuale della morte di Cristo, che si tiene una sola volta all’anno, nella data corrispondente al 14 nisan del calendario ebraico. Durante questo evento, viene letta la narrazione dell’ultima cena, vengono distribuiti pane azzimo e vino rosso… ma non per essere consumati dalla comunità.

La scena è singolare: centinaia, a volte migliaia di presenti si passano di mano in mano i due simboli — senza toccarli, senza ingerirli. Un gesto coreografato, silenzioso, che più che un atto di comunione, appare come una rappresentazione collettiva dell’esclusione.

b) Il ruolo esclusivo degli “unti”

Secondo la dottrina dei Testimoni di Geova, solo i cosiddetti “unti” — una classe ristretta di persone che affermano di appartenere ai 144.000 menzionati in Apocalisse — hanno il diritto di prendere parte alla commemorazione. Tutti gli altri, definiti “la grande folla”, devono solo osservare.

Chi sono questi unti? Nessuno lo stabilisce con prove o certezze. È una convinzione soggettiva che, se dichiarata, viene accettata dall’organizzazione (non sempre con entusiasmo). In pratica, l’intera comunità partecipa a un rito che non gli appartiene. E non è una questione di umiltà o simbolismo: è una separazione netta, istituzionalizzata.

Così, i Testimoni di Geova non fanno la comunione perché non la ritengono destinata a tutti. Solo alcuni, predestinati a vivere nel cielo, hanno il “permesso divino” di compiere quel gesto. Per tutti gli altri, la commemorazione diventa un’occasione per osservare, ma non toccare. Essere presenti, ma non partecipi.

3. Le motivazioni dottrinali: chi può partecipare secondo loro

a) I 144.000 e la distinzione tra cielo e terra

Alla base del rifiuto della comunione da parte dei Testimoni di Geova c’è una delle dottrine più distintive — e divisive — dell’intera organizzazione: quella dei 144.000. Secondo la loro interpretazione del libro di Apocalisse, solo 144.000 persone selezionate da Dio andranno in cielo e regneranno con Cristo. Questi individui, detti “unti”, sarebbero gli unici a poter prendere il pane e il vino della commemorazione, in quanto partecipanti al nuovo patto.

Il resto dei Testimoni? Fa parte della “grande folla”, una categoria che, pur essendo devota, non ha accesso ai simboli della comunione. Il loro destino non è il cielo, ma una vita eterna sulla terra trasformata in paradiso.

Questa distinzione tra due classi spirituali non è solo dottrinale: è profondamente identitaria. Non importa quanto tu sia devoto, quanto predichi o quanto doni: se non sei tra gli unti, sei spettatore. E lo sarai per tutta la vita.

b) Il significato simbolico negato alla “grande folla”

La cosa più sorprendente non è che solo alcuni prendano il pane e il vino. È che agli altri viene insegnato a non desiderarlo nemmeno. Il gesto simbolico della comunione, che nel cristianesimo è segno di appartenenza, di partecipazione, di legame, viene ridotto a qualcosa da rispettare a distanza.

Il messaggio è sottile ma chiaro: quello non è per te. Non devi sentirne il bisogno. Non devi nemmeno chiederti se avresti il diritto. L’identità spirituale della “grande folla” si costruisce sull’accettazione di un’esclusione permanente. Una forma di obbedienza che non premia, ma normalizza il distacco.

4. Esperienza personale: essere spettatore di un gesto che non potevo compiere

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a) L’obbedienza che annulla il desiderio

Ricordo le commemorazioni a cui partecipavo ogni anno. La sala era piena, silenziosa, composta. Il pane passava. Il vino passava. Nessuno li prendeva. Era così normale, così meccanico, che nemmeno ti veniva il dubbio: “ma io… posso?” La risposta non serviva. Era già scritta: tu non sei unto. Non è per te.

Non c’era rabbia, né frustrazione. C’era semplicemente l’annullamento di ogni desiderio. La spiritualità era obbedienza, non impulso. Rispetto della struttura, non ricerca di significato. Anche se qualcosa dentro di te ti diceva che quel gesto poteva avere senso, ti era stato insegnato a zittire quella voce.

b) Il valore che ho ritrovato nel significato, non nell’appartenenza

Solo molto tempo dopo, liberato da ogni identità religiosa, ho potuto guardare a quel gesto con occhi diversi. Non ho rivalutato la comunione nel senso liturgico o sacramentale. Non ho cercato un nuovo “gruppo” dove farla. Ma ho iniziato a riconoscere il valore di ciò che unisce, di ciò che si dona.

Il problema non era che non facevo la comunione. Il problema era non poter decidere da solo se farla. Era dover accettare un ruolo impostomi da altri, con la pretesa di conoscere la volontà di Dio meglio di me.

Oggi non ho bisogno di etichette per riconoscere un gesto che parla di apertura, di unione, di condivisione. Il significato ha preso il posto dell’appartenenza. E questo, per me, vale molto di più.

5. I miei libri: la comunione come strumento di divisione

a) Testicoli di Genova: osservare senza agire

Nel mio romanzo satirico Testicoli di Genova, ho raccontato più volte la surreale coreografia della commemorazione dei Testimoni di Geova. I personaggi si passano pane e vino come in una recita ben provata, con sguardi attenti, mani esitanti, ma nessuna reale partecipazione. È un rituale perfetto nella forma e vuoto nella sostanza, dove l’atto simbolico più potente del cristianesimo viene trasformato in uno spettacolo di obbedienza.

Nessuno mangia. Nessuno beve. Tutti guardano. È la metafora di una religione che ti insegna a osservare senza agire, a credere senza domandare, a rispettare senza capire. E se provi a partecipare, ti guardano con sospetto. In fondo, non sei dei loro.

b) Testimoni di Geova e Bibbia: il paradosso dell’eucaristia negata

Nel mio saggio Testimoni di Geova e Bibbia, ho analizzato a fondo la contraddizione che si nasconde dietro la commemorazione. Si legge il passo in cui Gesù dice “fate questo in memoria di me”, ma poi si insegna che non tutti possono farlo, e che la maggioranza non deve nemmeno desiderarlo.

Il paradosso è evidente: si predica l’imitazione di Cristo, ma si vieta il gesto che Lui stesso ha istituito. Non per questioni morali o spirituali, ma perché non si appartiene alla classe giusta. Una distinzione che, più che ispirazione divina, sa di costruzione umana. E di controllo.

6. Conclusione: comunione vera o rituale controllato?

I Testimoni di Geova non fanno la comunione, e la loro commemorazione annuale è l’esatto contrario di ciò che quel gesto dovrebbe rappresentare. Non è partecipazione, ma esclusione. Non è unione, ma gerarchia. Non è fede, ma conformità a una struttura che decide chi può e chi non può accedere a un simbolo universale.

Ma questa logica non è esclusiva dei Testimoni. Anche molte religioni tradizionali hanno trasformato la spiritualità in appartenenza, la coscienza in obbedienza, la comunione in identità di gruppo. Cambiano i simboli, le regole, i riti. Ma il meccanismo è sempre lo stesso: o sei dentro, o resti a guardare.

Oggi, per me, la vera comunione non è un pezzo di pane o un sorso di vino. È la possibilità di scegliere. È il significato che dai al gesto. È la libertà di non dover chiedere il permesso per sentirti parte di qualcosa di più grande.

Ora non mi resta che augurarti buona permanenza su Soldionline.biz.

Foto Luca Catanoso

Luca Catanoso

Blogger e scrittore, autore di numerosi libri pubblicati su Amazon. Racconto storie emozionanti di animali, approfondisco tematiche di storia militare, sviluppo personale e molto altro ancora. La mia missione è ispirare, informare e coinvolgere attraverso la scrittura.

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