I Testimoni di Geova Festeggiano la Pasqua? Cosa Credono?

da | 26 Mar 2025 | Crescita Personale, Religione, Sette Religiose

I Testimoni di Geova festeggiano la Pasqua?
La risposta è no — ma non si tratta solo di una questione terminologica o di preferenza religiosa.
Dietro il rifiuto della Pasqua si nasconde una precisa struttura dottrinale, che riduce una delle celebrazioni più significative del cristianesimo a una semplice commemorazione formale e priva di emozione.

Per l’organizzazione geovista, la Pasqua — così come viene vissuta da milioni di credenti nel mondo — è una festa da evitare, perché considerata contaminata, emotiva e non conforme al modello biblico che loro interpretano.

Eppure, parliamo della celebrazione della risurrezione di Cristo, il cuore della fede cristiana.
Cosa spinge dunque i Testimoni a ignorarla?
Cosa sostituisce questa festa nella loro pratica religiosa?
E quali sono le conseguenze, emotive e spirituali, per chi cresce evitando sistematicamente un evento che, per tanti, rappresenta speranza, rinascita e gioia?

In questo articolo cercherò di rispondere a queste domande, condividendo anche la mia esperienza personale:
da quando vivevo la Pasqua come una ricorrenza “proibita”, a quando ho finalmente capito che non serve un permesso per sentire di essere rinato.

E se cerchi chiarezza, riflessione o solo un punto di vista fuori dagli schemi, ti presenterò anche i miei due libri, nati proprio da chi, come me, ha deciso di non accontentarsi delle risposte preconfezionate.

1. Perchè i Testimoni di Geova non festeggiano la Pasqua?

a) La risposta netta della dottrina ufficiale

La risposta è semplice e diretta: no, i Testimoni di Geova non festeggiano la Pasqua.
Secondo la loro dottrina ufficiale, la Pasqua, così come viene celebrata nel mondo cristiano tradizionale, non è conforme alla “vera adorazione” e, anzi, rappresenta una festa contaminata da pratiche pagane, superstizione e sentimentalismo religioso.

Per l’organizzazione, ogni elemento tipico della Pasqua — dalla messa pasquale alle uova colorate — è considerato parte di una celebrazione corrotta, che ha perso ogni valore biblico e che dunque va evitata.

Il loro atteggiamento non è di semplice distacco, ma di rifiuto attivo.
Non solo non partecipano, ma insegnano ai propri fedeli a non farsi coinvolgere emotivamente, socialmente o simbolicamente, neppure in gesti innocui come regalare un dolce pasquale o accettare un augurio.

b) Perché non usano il termine “Pasqua”

All’interno dell’organizzazione geovista, il termine “Pasqua” è sostituito da “Commemorazione della morte di Cristo”, evento che celebrano una sola volta l’anno, in corrispondenza con la data ebraica del 14 Nisan.

Il motivo è duplice:
da un lato, credono che la parola “Pasqua” sia ormai associata a una festività non cristiana, contaminata da elementi pagani (come le uova, i conigli, i simboli di fertilità);
dall’altro, vogliono marcare la differenza tra la commemorazione sobria voluta da Geova e le celebrazioni gioiose e affettive del mondo religioso tradizionale.

In sostanza, non si tratta solo di non festeggiare: si tratta di dissociarsi apertamente da tutto ciò che la Pasqua rappresenta per il resto del mondo.

2. La Commemorazione della morte di Cristo

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a) In cosa consiste esattamente

La Commemorazione della morte di Cristo è l’unica celebrazione religiosa ufficiale osservata dai Testimoni di Geova.
Si tiene una sola volta l’anno, al tramonto del 14 Nisan secondo il calendario ebraico, e consiste in una riunione formale e silenziosa, con un discorso pubblico che spiega il significato della morte di Gesù, seguito dal passaggio simbolico del pane e del vino.

Ma attenzione:
solo un gruppo ristretto di persone, gli “unti”, può partecipare attivamente al pasto.
La stragrande maggioranza dei presenti si limita a far passare gli emblemi senza toccarli o consumarli.
Questo gesto — apparentemente insignificante — rappresenta in realtà una profonda divisione dottrinale tra “classe celeste” e “classe terrestre”.

b) Differenze fondamentali rispetto alla Pasqua cristiana

i) Nessun riferimento alla risurrezione

Mentre la Pasqua tradizionale celebra la risurrezione di Cristo e la vittoria sulla morte, nella commemorazione geovista si parla solo del sacrificio, della sofferenza e della morte.
La risurrezione non è negata, ma non è al centro della commemorazione.

Questo approccio rende l’evento freddo, distaccato, quasi burocratico.
Un rituale per “ricordare” la morte di Cristo, ma senza viverla emotivamente.

ii) Nessun coinvolgimento emotivo: solo “ubbidienza”

Durante la commemorazione non ci sono canti gioiosi, né emozione condivisa, né senso di celebrazione spirituale.
Tutto è centrato sull’obbedienza e sulla forma.
Ci si siede in silenzio, si ascolta il discorso preparato dall’organizzazione, si fa passare il pane e il vino, si prega e si torna a casa.

Il messaggio implicito è chiaro:
non devi sentire, devi semplicemente seguire.

3. Le origini della Pasqua secondo i Testimoni

a) La festività vista come eredità del paganesimo

Per i Testimoni di Geova, la Pasqua — così come viene celebrata nel cristianesimo tradizionale — non ha radici autenticamente cristiane, ma è considerata una festa contaminata da usanze pagane.

L’organizzazione ha pubblicato innumerevoli articoli che collegano la Pasqua a culti precristiani legati alla fertilità, alla primavera e alla rinascita della natura. Secondo la loro interpretazione, la chiesa apostata avrebbe sovrapposto queste credenze popolari alla narrazione evangelica, trasformando il sacrificio di Gesù in una festa mondana e idolatrica.

In quest’ottica, celebrare la Pasqua è un’offesa a Dio, perché significa mescolare ciò che è “sacro” con ciò che è “impuro”.

b) Il rifiuto di simboli come uova, conigli e dolci

I simboli pasquali più diffusi — le uova di cioccolato, i coniglietti, le colombe, i cesti decorati — sono per i Testimoni di Geova l’esempio perfetto della deriva pagana della festività.

L’uovo, in molte culture antiche, rappresentava la vita, la rinascita, la fertilità. Il coniglio era associato a divinità pagane. Tutto questo non può far parte della “vera adorazione”, motivo per cui è bandito completamente.

Ai bambini Testimoni non è concesso colorare uova, ricevere cioccolatini o partecipare a lavoretti scolastici pasquali, e i genitori sono istruiti a spiegare con gentilezza ma fermezza che queste tradizioni non provengono da Dio.

Il risultato? Un’infanzia fatta di “no”, di spiegazioni imbarazzate e di costante senso di diversità.

4. Come si comportano i Testimoni nel periodo pasquale

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a) A scuola, al lavoro, in famiglia

Durante il periodo pasquale, i Testimoni di Geova si trovano spesso in una posizione scomoda, soprattutto nei contesti sociali condivisi.

A scuola, i bambini non partecipano a recite, attività manuali o momenti di festa.
A lavoro, evitano gli auguri, i dolci condivisi, i brindisi “innocenti” e le conversazioni a tema.
In famiglia, se ci sono parenti non Testimoni, devono mantenere una posizione ferma, senza dare spazio a compromessi.

Per molti, questo significa isolarsi, ritirarsi, fare finta di nulla.
Un atteggiamento che spesso viene percepito come freddezza o arroganza, ma che in realtà deriva dalla paura di “dispiacere Geova”.

b) Disagio sociale e strategia dell’evitamento

Il disagio può diventare insopportabile, specialmente per adolescenti o giovani adulti che iniziano a porsi domande.
Come spiegare agli amici che non puoi neanche mangiare una colomba o accettare un augurio di Buona Pasqua?
Come gestire la vergogna, il senso di esclusione, il conflitto tra appartenenza al gruppo e coscienza personale?

La risposta più comune tra i Testimoni è l’evitamento.
Meglio assentarsi da scuola, prendere un giorno di ferie, evitare il pranzo in famiglia, spegnere il telefono.
Meglio sparire, piuttosto che spiegare.

Ma così facendo, si perde l’occasione di vivere il senso di comunità, di condivisione e di riflessione autentica che — per molti altri — è il cuore della Pasqua.

5. La mia esperienza personale

a) Le prime Pasque “negate”

Ricordo bene le prime volte in cui mi accorsi che, per me, la Pasqua era vietata.
E non parlo solo del rifiuto di un uovo di cioccolato o del lavoretto a scuola.
Parlo di quella sensazione sorda e spiacevole di dover restare fuori, mentre il mondo sembrava unirsi attorno a un messaggio di speranza e rinascita.

Nel periodo pasquale, mi sentivo sempre un passo indietro, costretto a sorridere educatamente e a dire “No, grazie” anche davanti a un semplice “Buona Pasqua”.
Lo facevo per ubbidienza. Lo facevo per senso di appartenenza. Ma dentro di me… qualcosa scricchiolava.

Quella che per tanti era la festa più spirituale dell’anno, per me era solo una giornata come le altre, da passare in silenzio, con l’unico compito di non “compromettere la mia neutralità”.

b) Quando ho riscoperto il valore della risurrezione… da me stesso

Anni dopo, uscito dall’organizzazione, ho riscoperto la Pasqua da un’altra prospettiva.
Non c’erano messe, né riti, né cioccolatini.
C’era solo un pensiero che mi accompagnava:
la risurrezione non è un evento storico da ricordare una volta l’anno.
È una scelta quotidiana.

Quando ho capito che non avevo bisogno di una religione per sentirmi rinato… ho smesso di avere paura della Pasqua.
E in quel momento, ho finalmente compreso il vero significato del “ritornare alla vita”:
non seguire dogmi, ma recuperare sé stessi.

Pasqua non è una data. È un simbolo.
E può avere valore solo se lo scegli tu.

6. I miei libri per chi cerca chiarezza

a) Testicoli di Genova – Il lato comico della fede cieca

In questo libro ho riversato tutta la mia voglia di sdrammatizzare, ridere e smontare le assurdità che per anni ho vissuto come regole indiscutibili.
È una satira tagliente, irriverente, ma anche terapeutica.
Perché a volte, ridere è l’unico modo per guarire dalle ferite lasciate da una religione troppo rigida.

E sì, anche la Pasqua entra nel mirino: tra assurdità dottrinali, doppi standard e divieti grotteschi, ci sono pagine che ti faranno sorridere e riflettere allo stesso tempo.

b) Testimoni di Geova e Bibbia – Un’indagine senza veli

Qui, invece, ho fatto un lavoro serio, dettagliato e documentato.
Ho voluto mettere nero su bianco tutto quello che i Testimoni non ti raccontano, nemmeno quando ti bussano alla porta.

Parlo delle origini del movimento, delle contraddizioni interne, delle tecniche di controllo e anche della visione che hanno delle festività come la Pasqua, viste sempre con sospetto e disapprovazione.

È un libro che non attacca le persone, ma analizza il sistema.
Se vuoi capire, se vuoi approfondire, se stai cercando risposte… qui le troverai.

7. Conclusione

a) Non è la festa che conta, ma il senso che le dai

I Testimoni di Geova non festeggiano la Pasqua, e su questo sono molto chiari.
Ma la vera domanda non è “si deve festeggiare?”, bensì: “cosa significa per te?”

Non è la festa in sé a fare la differenza.
È il significato che scegli di darle.
Puoi partecipare a un rito e non sentire nulla, oppure stare in silenzio e vivere una rinascita profonda.
Puoi seguire una tradizione solo per abitudine, o scegliere consapevolmente di celebrare la vita, la speranza, il cambiamento.

Alla fine, non è Geova, non è la religione, non è il calendario a dirti cosa vale la pena onorare.
Se c’è un momento che ti fa sentire vivo, che ti fa riflettere, che ti fa sperare… allora hai tutto il diritto di chiamarlo “Pasqua”. Anche se nessuno ti ha dato il permesso.

b) Se risorgi nella coscienza, ogni giorno è Pasqua

La vera risurrezione non è quella di cui ti parlano in Sala del Regno una volta all’anno.
La risurrezione autentica avviene quando ti svegli, quando smetti di delegare la tua coscienza, quando decidi che la tua libertà vale più dell’obbedienza.

Ogni volta che scegli te stesso, stai risorgendo.

E allora sì, ogni giorno può essere Pasqua.
Non per ciò che mangi o per come ti vesti.
Ma perché stai tornando a vivere — a modo tuo.

Foto Luca Catanoso

Luca Catanoso

Blogger e scrittore, autore di numerosi libri pubblicati su Amazon. Racconto storie emozionanti di animali, approfondisco tematiche di storia militare, sviluppo personale e molto altro ancora. La mia missione è ispirare, informare e coinvolgere attraverso la scrittura.

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