I Testimoni di Geova festeggiano i santi? È una domanda che emerge spesso, soprattutto in occasione di festività religiose come Ognissanti, in un contesto dove il culto dei santi è profondamente radicato nella tradizione cattolica.
Ma per chi appartiene all’organizzazione dei Testimoni di Geova, la risposta è netta: no, i santi non si festeggiano, non si venerano, e non si ricordano con alcuna forma di omaggio spirituale o simbolico.
Dietro questo rifiuto non c’è solo una divergenza teologica, ma una visione completamente diversa della santità, della fede e del rapporto con le figure religiose. Per i Testimoni, qualsiasi atto che possa anche solo sembrare una venerazione, una commemorazione o una celebrazione personale, è considerato idolatria e quindi incompatibile con il vero cristianesimo.
In questo articolo analizzeremo:
- perché i Testimoni di Geova non festeggiano i santi,
- qual è il loro approccio verso ricorrenze come il 1° novembre,
- e come si comportano in ambito scolastico, sociale o familiare quando queste festività vengono celebrate da chi li circonda.
Ti racconterò anche la mia esperienza personale, vissuta tra disagio, esclusione e, solo dopo, consapevolezza.
Se stai cercando di capire come funziona davvero il pensiero geovista su queste tematiche, sei nel posto giusto.
1. I Testimoni di Geova festeggiano i santi?
a) La risposta netta e motivata
No, i Testimoni di Geova non festeggiano i santi.
Secondo la loro dottrina, qualsiasi forma di commemorazione religiosa rivolta a esseri umani, vivi o morti, è considerata idolatria. Di conseguenza, non partecipano in alcun modo alle feste dedicate ai santi, come Ognissanti o celebrazioni locali in onore del patrono.
Per i Testimoni, la santità non è un titolo da attribuire a posteriori a qualcuno da ricordare, ma uno stato spirituale che riguarda tutti i cristiani fedeli e obbedienti a Geova.
Per questo motivo, non solo non esiste alcuna festa in onore dei santi, ma qualsiasi atto di venerazione – preghiera, accensione di candele, immagini, processioni – viene rifiutato con fermezza.
b) Le feste religiose escluse: da Ognissanti al Natale
Oltre al rifiuto delle celebrazioni dedicate ai santi, i Testimoni di Geova rigettano sistematicamente tutte le festività religiose non menzionate nella Bibbia.
Questo include:
- Ognissanti (1° novembre)
- Tutti i Santi e commemorazioni locali dei patroni
- Il Natale, ritenuto di origine pagana
- La Pasqua, accusata di aver perso il significato originale
- Le feste mariane, considerate idolatriche
Secondo la loro visione, celebrare qualsiasi festività che non sia espressamente istituita nelle Scritture significa imitare usanze del “mondo” e disonorare Dio.
2. Il rifiuto del culto dei santi
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a) Il concetto di santità secondo i Testimoni
Per i Testimoni di Geova, la parola “santo” non si riferisce a una figura religiosa venerabile e straordinaria, come accade nella teologia cattolica, ma a qualsiasi persona che vive in armonia con i principi di Geova.
In questo senso, tutti i Testimoni attivi e fedeli sono considerati “santi”, ma senza alcuna forma di adorazione, titolo speciale o ricorrenza celebrativa.
Non esistono “santi ufficiali” da pregare o invocare.
E non c’è spazio per reliquie, icone, statue o medagliette: tutto ciò è visto come residuo del paganesimo infiltratosi nel cristianesimo tradizionale.
b) Perché non venerano figure religiose
I Testimoni di Geova non festeggiano l’onomastico poichè il rifiuto del culto dei santi si basa su un principio chiave: solo Geova merita adorazione.
Qualsiasi atto di omaggio rivolto a esseri umani, anche se presentato come “venerazione” e non “adorazione”, viene visto come una trasgressione del primo comandamento biblico: “Non avrai altri dèi di fronte a me”.
Per questo motivo, i Testimoni non pregano Maria, non parlano con i santi, non si affidano a intercessori spirituali. Ritengono che l’unico mediatore tra Dio e gli uomini sia Gesù Cristo, come indicato nella loro interpretazione di 1 Timoteo 2:5.
c) L’interpretazione dei “santi” nel Nuovo Testamento
Nelle loro pubblicazioni, i Testimoni di Geova spiegano che la parola “santo” nei testi biblici si riferisce ai cristiani del I secolo, consacrati a Geova e parte della congregazione.
Non si tratta di persone perfette, ma di credenti devoti che vivono separati dal mondo corrotto.
La santità, quindi, non è uno status da ottenere dopo la morte, né comporta una posizione di autorità spirituale.
Non esiste alcun culto postumo, nessuna canonizzazione, nessuna beatificazione.
Secondo loro, tutto questo è una deviazione introdotta dal cristianesimo apostata nei secoli successivi alla morte degli apostoli.
3. Ognissanti, il 1° novembre e il significato spirituale
a) Origini storiche e religiose della ricorrenza
La festa di Ognissanti, celebrata il 1° novembre, nasce ufficialmente nella tradizione cristiana per onorare tutti i santi, noti e sconosciuti, che secondo la dottrina cattolica hanno raggiunto il Paradiso.
Tuttavia, le sue radici storiche affondano anche in riti precristiani, come la festività celtica di Samhain, in cui si commemoravano i morti e si credeva che il confine tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti si assottigliasse.
Con l’avvento del cristianesimo, la Chiesa ha inglobato molte di queste ricorrenze per trasformarle in festività liturgiche, pur modificandone il significato.
Ognissanti, infatti, è diventata col tempo un’occasione per pregare i santi, visitare le tombe e partecipare a riti commemorativi religiosi.
Per i fedeli cattolici è un momento di raccoglimento, per onorare coloro che hanno vissuto secondo il Vangelo, anche senza essere canonizzati ufficialmente.
b) Perché viene rifiutata in modo categorico
Per i Testimoni di Geova, invece, il 1° novembre è un giorno come un altro, anzi: è una data da evitare con particolare attenzione.
Viene considerata parte integrante di un sistema religioso apostata, che ha mescolato insegnamenti biblici con riti pagani.
Il motivo principale del rifiuto è duplice:
- Il concetto stesso di “santi” come intermediari spirituali è ritenuto antibiblico.
- La commemorazione dei morti, specialmente se accompagnata da preghiere, ceri, fiori o simboli religiosi, è vista come una pratica idolatrica.
In più, il legame storico con festività pagane alimenta l’idea che Ognissanti non abbia nulla a che fare con il vero cristianesimo.
Parteciparvi – anche solo in forma culturale o affettiva – viene percepito come un tradimento spirituale nei confronti di Geova.
4. Come si comportano i Testimoni il giorno di Ognissanti
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a) Scuola, lavoro e commemorazioni pubbliche
Il comportamento dei Testimoni di Geova il 1° novembre segue lo schema di tutte le altre festività che non appartengono alla loro dottrina: astensione totale.
- A scuola, i bambini Testimoni non partecipano ad attività legate a Ognissanti o alla commemorazione dei defunti. Se la classe realizza lavoretti, disegni o visite al cimitero, spesso vengono esonerati, con l’accordo dei genitori.
- Negli ambienti di lavoro, possono gentilmente rifiutare inviti a partecipare a momenti di raccoglimento, messe aziendali o visite collettive ai cimiteri.
- Anche una semplice frase come “oggi è Ognissanti” non viene accolta con entusiasmo, ma con discreto distacco. L’obiettivo è mantenere la “neutralità spirituale”, evitando ogni coinvolgimento emotivo o simbolico.
b) Contrasti con parenti e amici cattolici
In ambito familiare, la giornata può diventare motivo di incomprensione o tensione, soprattutto se ci sono parenti non Testimoni che vorrebbero commemorare insieme i defunti o partecipare a riti tradizionali.
Molte famiglie “miste” vivono una frattura emotiva in queste ricorrenze:
- da un lato chi vorrebbe andare al cimitero, dire una preghiera, accendere una candela;
- dall’altro chi, per rispetto alle regole religiose, evita questi gesti con freddezza apparente, spesso senza dare troppe spiegazioni.
Questo atteggiamento può essere percepito come mancanza di rispetto o insensibilità, quando in realtà deriva da un sistema dottrinale rigido, che spinge all’obbedienza assoluta anche su ciò che sembra “innocuo”.
Per molti Testimoni, il 1° novembre non è solo una data da ignorare, ma una prova di lealtà verso Geova, da superare anche a costo di ferire qualcuno.
5. La mia esperienza personale
a) L’incomprensione e il disagio in contesti religiosi
Crescendo all’interno dell’organizzazione dei Testimoni di Geova, ho sempre vissuto un senso di estraneità nei contesti religiosi esterni, soprattutto quando si trattava di commemorare figure spirituali, santi o anche semplicemente defunti.
Ricordo bene certe giornate come Ognissanti, quando i miei compagni di classe parlavano delle tombe dei nonni, delle candele accese, dei momenti in chiesa, mentre io abbassavo lo sguardo.
Non mi era permesso partecipare, e quel divieto – anche se presentato come una prova di fede – mi faceva sentire fuori posto, come se la mia umanità valesse meno.
Non era solo una questione di regole religiose, ma di contatto emotivo con la realtà.
Ogni volta che qualcuno si raccoglieva per ricordare una persona cara, io dovevo stare un passo indietro, perché “non era lecito” provare o esprimere certe emozioni in quel contesto.
Col tempo, quel distacco è diventato disagio, e il disagio si è trasformato in senso di colpa: come se amare, onorare, commemorare potesse mettere a rischio il mio rapporto con Dio.
b) Come ho riscoperto il significato del rispetto
Solo dopo aver lasciato l’organizzazione, ho capito una cosa fondamentale: rispettare non significa idolatrare.
Dire una preghiera, accendere una candela, posare un fiore o ricordare una persona buona vissuta prima di noi non è peccato, non è eresia, non è infedeltà a Dio.
Ho imparato che il vero rispetto non nasce dalla paura delle regole, ma dalla libertà di scegliere come vivere l’affetto, la memoria, la gratitudine.
Non serve credere nei santi per riconoscere la grandezza umana in chi ci ha preceduto.
E non serve “festeggiare” nel senso religioso del termine per capire quanto sia importante onorare, raccontare, tramandare il bene ricevuto.
Oggi mi concedo gesti semplici ma profondi, liberi da ogni dogma, ma pieni di significato. E mi dispiace, davvero, per tutte le volte in cui non ho potuto – o non ho saputo – essere presente per chi aveva bisogno solo di un piccolo segno.
6. I miei libri per approfondire
Dopo aver lasciato i Testimoni di Geova, ho sentito il bisogno di trasformare tutto ciò che avevo vissuto in qualcosa di utile.
Raccontare, denunciare, ridere, riflettere: sono stati gli strumenti con cui ho cercato di restituire al mondo la mia verità.
Da questo percorso sono nati due libri, diversi nel tono ma uniti da un obiettivo comune: aprire gli occhi su una realtà che spesso viene travestita da spiritualità.
a) Testicoli di Genova – La satira che smonta i dogmi
Una raccolta di episodi, parodie e riflessioni satiriche che trasformano le assurdità dottrinali in gag comiche, pungenti e memorabili.
Un libro scritto con il cuore leggero ma con la mente lucida, per ridere del sistema che un tempo mi teneva in catene.
È pensato per chi vuole affrontare il tema con ironia, per chi ha vissuto situazioni simili, e per chi ha il coraggio di rompere il silenzio con una risata liberatoria.
b) Testimoni di Geova e Bibbia – La verità oltre la dottrina
Un’indagine approfondita sulle basi dottrinali, le contraddizioni, il controllo mentale e le esperienze di chi, come me, è entrato nella congregazione credendo di trovare risposte… e ne è uscito con molte più domande.
Un libro documentato, onesto, senza sconti ma anche senza odio.
Un ponte tra chi è dentro e chi ne è appena uscito, tra chi cerca risposte e chi ha solo bisogno di sentirsi meno solo.
7. Conclusione
a) Nessun santo da venerare, ma tante persone da onorare
È vero: nella vita non abbiamo bisogno di venerare santi, né di inginocchiarci davanti a statue per trovare il senso della spiritualità.
Ma abbiamo un disperato bisogno di onorare chi ha lasciato un segno buono nella nostra vita.
Ci sono madri, padri, amici, persone comuni che hanno incarnato valori profondi, senza bisogno di aureole o processi di canonizzazione.
E ricordarle con affetto, rispetto o persino con un gesto simbolico non toglie nulla a Dio, se mai aggiunge qualcosa alla nostra umanità.
b) Un invito a non confondere il rispetto con l’idolatria
Non tutto ciò che viene definito “idolatria” lo è davvero.
La linea tra rispetto e adorazione è chiara, se si guarda con mente libera e cuore sincero.
Chiamare “errore” ogni manifestazione d’affetto, ogni gesto di ricordo, ogni commemorazione, significa trasformare la fede in un sistema di divieti più che in un percorso di consapevolezza.
Rispetta chi sei. Rispetta chi è venuto prima di te. Rispetta anche chi crede in modo diverso.
E se senti il bisogno di ricordare qualcuno, fallo. Non per imitare il mondo, ma perché onorare la memoria è uno degli atti più nobili che ci siano.
In fondo, non serve essere santi per meritare di essere ricordati. Serve solo aver amato.
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