Mettere al mondo un figlio dovrebbe essere una scelta libera, consapevole, fondata sull’amore e sul desiderio di costruire una famiglia. Eppure, in contesti religiosi molto rigidi — come quello dei Testimoni di Geova — anche la genitorialità viene filtrata e condizionata attraverso le maglie della dottrina. Nonostante non esista un divieto ufficiale ad avere figli, è comune che molte coppie all’interno della congregazione scelgano di rinunciare alla maternità o alla paternità.
Una scelta davvero personale? O l’effetto collaterale di un sistema che scoraggia tutto ciò che potrebbe distogliere dall’impegno verso Geova?
Questo articolo nasce proprio per rispondere a una domanda legittima: i Testimoni di Geova fanno figli? E se sì, quale spazio hanno davvero nella loro vita i bambini?
1. Introduzione
a) Figli e fede: una scelta personale o una rinuncia imposta?
A differenza di altre fedi cristiane che esaltano la famiglia e la procreazione, i Testimoni di Geova pongono il servizio alla congregazione al di sopra di ogni priorità personale. Nei loro discorsi, nei video e nelle pubblicazioni ufficiali, la figura del pioniere, del proclamatore, del sorvegliante di circoscrizione è spesso presentata come modello ideale — e guarda caso, quasi sempre si tratta di persone senza figli.
I figli sono considerati una benedizione, sì, ma anche una grande responsabilità che potrebbe interferire con il ministero. E così, in modo sottile ma costante, si fa passare il messaggio che chi sceglie la via della genitorialità potrebbe finire per amare meno Geova, dedicargli meno tempo, fare meno ore di predicazione.
b) Il valore della genitorialità nella dottrina geovista
Molti giovani Testimoni crescono con l’idea che la fine del mondo sia vicina, e che quindi sia “saggio” non mettere al mondo bambini in “questo sistema di cose”. Altri rinunciano a diventare genitori per non perdere il privilegio di servire come pionieri regolari o per timore che i figli diventino un peso emotivo difficile da gestire in una congregazione piena di regole.
Il risultato? Generazioni di adulti che avrebbero desiderato una famiglia numerosa, ma si sono fermati a uno o due figli, oppure non ne hanno avuti affatto. E tanti bambini cresciuti in un contesto in cui la spontaneità, la libertà di esplorare, la leggerezza dell’infanzia vengono sostituite dal senso di dovere, dalla paura e dalla sottomissione.
In questo articolo vedremo cosa insegna davvero la congregazione su questi temi e soprattutto qual è l’impatto psicologico e sociale di queste scelte — per i genitori, ma anche per i figli stessi.
2. I Testimoni di Geova possono avere figli?
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a) Nessun divieto esplicito, ma tanti condizionamenti
A livello ufficiale, non esiste alcuna regola scritta che vieti ai Testimoni di Geova di avere figli. Le coppie possono decidere di procreare, e non vengono apertamente osteggiate per questo. Tuttavia, nella realtà quotidiana della congregazione, la pressione a evitare la genitorialità è forte, anche se raramente esplicitata in modo diretto.
Molti Testimoni, soprattutto i più devoti o impegnati nel “servizio a tempo pieno” (pionieri regolari, missionari, sorveglianti viaggianti), scelgono di non avere figli per non “limitare” la loro disponibilità al ministero. Questa scelta viene spesso lodata pubblicamente come “segno di spiritualità matura”, mentre chi decide di mettere su famiglia viene velatamente considerato “meno zelante”.
Il messaggio che passa è sottile ma costante: i figli sono un ostacolo alla spiritualità, non una benedizione da ricercare.
b) Il messaggio delle pubblicazioni ufficiali
Le riviste ufficiali come La Torre di Guardia o Svegliatevi! non proibiscono la genitorialità, ma pongono sistematicamente l’accento sui “pericoli” e le “responsabilità spirituali” che essa comporta. I figli vengono spesso descritti come potenziali fonti di preoccupazione, distrazione e persino di allontanamento dalla verità.
In alcuni articoli si leggono frasi del tipo:
“È saggio mettere al mondo figli in un mondo dominato da Satana e vicino alla fine?”
Oppure:
“Chi desidera servire a tempo pieno potrebbe dover rinunciare ad avere una famiglia.”
Inoltre, la narrazione apocalittica secondo cui “la fine è vicina” scoraggia in modo implicito qualsiasi investimento a lungo termine, inclusa la genitorialità. Per decenni, migliaia di coppie di Testimoni hanno rinunciato a diventare genitori con la convinzione che “fra pochi anni Geova porterà il nuovo mondo.” Un nuovo mondo che, ad oggi, non è mai arrivato.
Questo continuo posticipare, questa paura mascherata da “saggezza spirituale”, ha generato un’intera generazione di adulti senza figli che oggi si interrogano: “Ho scelto io? O qualcuno ha scelto per me?”
3. Perché molti Testimoni scelgono di non avere figli
a) La fine del mondo è vicina: meglio rimandare
Una delle ragioni principali per cui molti Testimoni di Geova scelgono di non avere figli è la costante convinzione che la fine del mondo sia imminente. Da decenni, le pubblicazioni della Watchtower annunciano l’imminenza di Armageddon, dipingendo il presente come un periodo transitorio e instabile. In questo contesto, avere figli viene percepito da molti come un rischio inutile o addirittura una mancanza di fede.
Questa visione ha portato molti membri della congregazione a rinviare per anni la scelta di diventare genitori, convinti che “fra poco tutto cambierà”. Il paradosso è che, nel frattempo, sono invecchiati, e quando la “fine” non è arrivata, si sono ritrovati senza figli… e senza più tempo per averne.
Frasi come “Meglio concentrarsi sul ministero adesso” o “Nel nuovo mondo ci sarà tempo per avere figli” risuonano spesso nelle congregazioni, generando una cultura della rinuncia che raramente viene messa in discussione.
b) I figli “distraggono” dal servizio a Geova
Un’altra motivazione diffusa è di tipo pratico e spirituale: i figli richiedono tempo, energie, attenzioni. E queste energie, per un Testimone di Geova, dovrebbero essere dedicate al “servizio di campo”, alle adunanze, allo studio personale, e al supporto della congregazione.
Molte coppie temono che l’arrivo di un figlio possa indebolire la loro attività spirituale e portarli ad avere meno “privilegi di servizio” nella comunità. Non è raro sentire affermazioni del tipo:
“I figli ti allontanano da Geova.”
“Meglio servire a tempo pieno che mettere al mondo un altro essere umano da educare.”
Questo approccio trasforma la genitorialità da dono in ostacolo, e chi sceglie di avere figli può finire per sentirsi colpevole o meno spirituale.
4. I figli come strumento di controllo interno
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a) Educazione rigidissima e assenza di libertà
Chi nasce in una famiglia di Testimoni di Geova non cresce come un bambino qualsiasi. Fin da piccolissimo, viene educato a rispettare regole ferree: partecipare alle adunanze, predicare, studiare la Bibbia, e soprattutto evitare ogni contatto con il “mondo” esterno. Le amicizie a scuola sono scoraggiate, le feste vietate, i compleanni ignorati.
In pratica, l’infanzia e l’adolescenza vengono piegate alle esigenze della congregazione. Non c’è spazio per l’autonomia, per il gioco libero, per l’esplorazione dell’identità. Ogni decisione passa dal filtro spirituale: “Questo piace a Geova?”
In molti casi, l’educazione religiosa diventa un vero e proprio strumento di indottrinamento, in cui i figli non vengono accompagnati, ma guidati a forza, spesso con la minaccia emotiva dell’“abbandono da parte di Dio” in caso di ribellione.
b) Pressioni su bambini e adolescenti a conformarsi
Già in età infantile, i bambini Testimoni vengono esortati a “dare testimonianza a scuola”, a partecipare attivamente alle predicazioni e a rispettare rigide regole morali. Non si tratta solo di un’educazione religiosa, ma di una forma di pressione costante a dimostrarsi spiritualmente maturi anche quando non si è pronti.
Gli adolescenti, in particolare, vivono spesso un conflitto interiore lacerante. Da un lato la naturale voglia di esplorare, dall’altro il timore di deludere la congregazione e i propri genitori. Chi si ribella viene etichettato come “spiritualmente debole”, e chi sbaglia rischia persino la disassociazione.
Così, i figli diventano non solo membri della famiglia, ma anche “ambasciatori” della fede, tenuti a comportarsi in modo irreprensibile, non per loro stessi, ma per non gettare discredito sul nome di Geova.
5. Esperienza personale dell’autore
a) Essere figlio in un mondo che non ti lascia scegliere
Sono cresciuto in una famiglia di Testimoni di Geova. Fin da piccolo ho capito che non sarei mai stato davvero libero. Non potevo scegliere se andare alle adunanze, né se partecipare alla predicazione. Dovevo obbedire. Punto. Ogni decisione — dai vestiti ai compleanni, dalle amicizie alla scuola — passava dal filtro della congregazione.
Ricordo distintamente il senso di disagio che provavo a scuola quando mi isolavo durante le feste, quando rifiutavo l’invito a una pizzata o quando non sapevo spiegare ai miei compagni perché non potevo cantare l’inno nazionale. Mi sentivo diverso, ma non per mia scelta. E crescendo, quella differenza è diventata una frattura interiore: tra ciò che avrei voluto vivere e ciò che mi era stato detto di desiderare.
I figli, in quel mondo, non sono individui da accompagnare, ma progetti da modellare. E se provano a deviare, vengono corretti, ammoniti, puniti. Non ho scelto quella fede, ma per anni ho creduto di doverla difendere con la mia stessa libertà. Uscirne è stato un atto di rinascita. Ma il bambino che ero resta lì, incastrato in un sistema che gli ha negato il diritto di essere semplicemente… se stesso.
6. Libri consigliati per approfondire
a) Testicoli di Genova: Cronache tragicomiche dal mondo delle visite a domicilio
In questo romanzo ironico e dissacrante, racconto le assurdità, le contraddizioni e le scene surreali vissute durante gli anni passati a predicare porta a porta. Il libro è una raccolta di episodi comici e tragici che mette in luce l’ipocrisia e il fanatismo nascosti dietro l’apparente bontà della predicazione.
Attraverso lo sguardo di un protagonista lucido ma disilluso, Testicoli di Genova mostra come l’identità personale venga sacrificata in nome dell’obbedienza cieca, e come anche una cosa naturale come la paternità o la maternità diventi motivo di giudizio e pressione.
Un’opera pungente, intensa e liberatoria. Disponibile su Amazon.
b) Testimoni di Geova e Bibbia: Setta o Vera Religione?
Questo saggio analitico e documentato entra nel cuore delle dottrine geoviste, confrontando le loro affermazioni con la Bibbia, la logica e l’etica. Una sezione significativa è dedicata proprio alla famiglia, ai figli e al ruolo soffocante che la congregazione esercita sulla genitorialità e sull’infanzia.
Attraverso testimonianze, fonti ufficiali e riflessioni critiche, il libro svela come la libertà personale venga lentamente erosa, spesso già dai primi anni di vita, e come la scelta di diventare genitori sia strumentalizzata in funzione della “fine imminente”.
Un punto di riferimento per chi vuole davvero capire cosa si cela dietro l’etichetta “popolo di Geova”.
7. Conclusione
a) Mettere al mondo un figlio è un atto di libertà, non di obbedienza
Avere un figlio dovrebbe essere un atto d’amore, di apertura alla vita, di fiducia nel futuro. Ma quando questa decisione viene distorta da un sistema dottrinale che la trasforma in rinuncia, sacrificio o sospetto, allora non siamo più di fronte a una scelta, ma a una manipolazione.
I Testimoni di Geova non proibiscono di avere figli, ma creano un contesto in cui farlo sembra un segno di debolezza spirituale. E così, tante vite non nascono, e tante che nascono non vengono mai veramente ascoltate.
b) I figli meritano amore, non dottrine
Un bambino non dovrebbe essere una bandiera da esibire né un futuro proclamatore da addestrare. Dovrebbe essere una persona, libera di sbagliare, esplorare, crescere. Ma nel mondo dei Testimoni di Geova, l’infanzia è spesso il primo territorio di conquista spirituale. E l’amore, quello autentico, cede il passo al controllo.
Ora non mi resta che augurarti buona permanenza su Soldionline.biz!
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