Nel mondo dei Testimoni di Geova, l’abbigliamento non è mai solo una questione estetica. Al contrario: è parte integrante del comportamento “cristiano esemplare” che ogni membro deve dimostrare. Come ti vesti, come ti pettini, quali accessori indossi: tutto deve essere coerente con un ideale di sobrietà, rispetto, modestia. Ma dietro questa apparente innocenza si nasconde un sistema rigido di regole, giudizi impliciti e imposizioni più o meno esplicite.
Se ti sei mai chiesto come si vestono i Testimoni di Geova o se una donna Testimone può indossare i pantaloni, sappi che le risposte non sono semplici. Perché non esistono vere leggi scritte — ma c’è una cultura dell’obbedienza estetica che plasma profondamente il modo in cui i membri vivono il proprio corpo, la propria immagine, e spesso anche la propria identità.
L’abbigliamento, infatti, diventa uno strumento per “dare buona testimonianza”, per distinguersi dal mondo esterno, per mantenere un’apparenza di santità… ma anche per esercitare pressione sociale, conformismo e controllo.
1. Introduzione: vestiti e fede tra i Testimoni di Geova
Nessun Testimone di Geova ti dirà apertamente che “esiste un codice di abbigliamento ufficiale”. Tuttavia, chiunque sia cresciuto o vissuto all’interno dell’organizzazione sa bene che certe scelte di stile sono scoraggiate, altre malviste, e alcune addirittura condannate apertamente.
Non si tratta di norme religiose riconosciute a livello teologico, ma di una tradizione dottrinale tramandata tramite le riviste ufficiali, i discorsi dal podio, le osservazioni informali e i colloqui privati con gli anziani.
Indossare una gonna un po’ troppo corta o un pantalone attillato, per una donna, può suscitare ammonimenti e sguardi di disapprovazione. Avere la barba, per un uomo, può compromettere la possibilità di tenere un discorso pubblico. E i tatuaggi? Anche se fatti anni prima del “ravvedimento”, rimangono un segno indelebile… e non solo sulla pelle.
In questo articolo analizzeremo nel dettaglio tutte le regole (esplicite e implicite) che i Testimoni di Geova seguono quando si tratta di vestiti, aspetto, capelli e accessori. Non solo per informare, ma anche per mostrare come — ancora una volta — la fede, in questo contesto, passa attraverso l’uniformità, non attraverso la libertà.
2. Le regole generali sull’abbigliamento
Testicoli di Genova: Cronache tragicomiche dal mondo delle visite a domicilio
Un’esilarante satira religiosa che ti farà ridere, riflettere e non rispondere mai più al campanello. Il libro sui Testimoni di Geova come non l’hai mai letto prima!
a) Sobrietà e decoro come princìpi guida
Nell’ambiente dei Testimoni di Geova, l’abbigliamento deve sempre riflettere sobrietà, decoro e modestia. Non si tratta solo di buon senso o di gusto personale: è una vera e propria direttiva spirituale, che deriva da interpretazioni specifiche di versetti biblici come 1 Timoteo 2:9 o 1 Pietro 3:3-4. Questi versetti, secondo l’organizzazione, impongono ai fedeli di evitare qualsiasi forma di abbigliamento appariscente, provocante o che possa “richiamare l’attenzione su di sé”.
Il concetto è chiaro: l’abito deve riflettere la spiritualità interna della persona. Per questo vengono scoraggiati vestiti troppo aderenti, scollature, gonne corte, jeans strappati, colori sgargianti e tutto ciò che potrebbe suggerire vanità o desiderio di apparire. La stessa cosa vale per gli uomini: l’abbigliamento deve essere curato ma mai eccessivo, professionale ma non alla moda, sempre in linea con l’immagine austera e ordinata che l’organizzazione vuole trasmettere.
Chi si discosta troppo da questi standard — anche senza infrangere regole scritte — rischia di venire osservato con sospetto, ammonito in privato, o addirittura escluso da attività congregazionali.
b) Perché l’aspetto esteriore è così importante
Nel pensiero geovista, l’aspetto esteriore non è mai scollegato dalla condotta morale e spirituale. Vestirsi in modo “appropriato” non serve solo a mostrarsi devoti a Dio, ma anche a dare una buona testimonianza pubblica, cioè a rappresentare degnamente l’organizzazione davanti al mondo.
I Testimoni di Geova si sentono “separati dal mondo”, e devono distinguersi anche visivamente da chi vive “secondo i desideri carnali”. In quest’ottica, l’abbigliamento diventa una barriera simbolica tra “noi” e “loro”, tra la congregazione e la società esterna.
Per questo motivo, anche piccoli dettagli — come un orecchino di troppo, una camicia troppo vistosa, un’acconciatura non tradizionale — possono essere visti come segnali di ribellione o mondanità.
Inoltre, l’aspetto ha un ruolo importante nella selezione e nella promozione dei membri all’interno della congregazione. Per esempio, un uomo con la barba o una sorella con uno stile ritenuto inadeguato potrebbero non essere scelti per leggere in Sala del Regno, tenere discorsi o partecipare ad attività pubbliche.
c) Le fonti ufficiali che dettano le regole
Sebbene i Testimoni di Geova dichiarino di seguire solo la Bibbia, la verità è che la maggior parte delle regole sull’abbigliamento viene stabilita e regolamentata attraverso le pubblicazioni della Watch Tower Society. Le due principali riviste — La Torre di Guardia e Svegliatevi! — contengono articoli dettagliati su cosa è considerato appropriato o meno, aggiornando di volta in volta i confini della “modestia cristiana”.
Oltre a queste pubblicazioni, esistono anche manuali riservati agli anziani, come Pastoreggiate il gregge di Dio, che contengono linee guida più rigide su come affrontare casi di abbigliamento ritenuto inappropriato, specialmente tra i giovani o tra coloro che ricoprono ruoli visibili.
In pratica, anche se nessuna regola è incisa nella pietra, tutti sanno che ci sono limiti precisi, codificati da decenni di tradizione interna. E infrangerli — anche involontariamente — può portare a essere ripresi, emarginati o esclusi.
3. Come si vestono i Testimoni di Geova
a) Durante le adunanze e nelle occasioni pubbliche
i) Abito, cravatta e scarpe eleganti per gli uomini
Quando si tratta di adunanze alla Sala del Regno, assemblee di circuito o congressi annuali, l’abbigliamento maschile dei Testimoni di Geova segue uno standard rigido e ben riconoscibile: giacca, cravatta, camicia a maniche lunghe e pantaloni eleganti. Non è raro che venga anche raccomandato l’uso della giacca anche in piena estate, per mantenere “dignità e rispetto” durante l’adorazione collettiva.
Le scarpe devono essere chiuse, sobrie, ben lucidate. Sono malvisti i jeans, le scarpe da ginnastica, le camicie troppo colorate o le cravatte con disegni eccentrici. Ogni dettaglio contribuisce a creare un’immagine ordinata, “dignitosa”, coerente con la visione di una fede disciplinata e visivamente distinta dal mondo esterno.
ii) Gonne sotto il ginocchio e bluse chiuse per le donne
Per le donne, le aspettative sono altrettanto rigorose. La gonna deve sempre coprire le ginocchia, sia da sedute che in piedi. Sono vietate minigonne, leggins, vestiti attillati o con spacchi. Anche le bluse devono essere chiuse, senza scollature, trasparenze o maniche troppo corte.
Niente trucco eccessivo, niente gioielli appariscenti, niente tacchi esagerati. L’obiettivo è mostrare modestia, umiltà e rispetto per Geova e per la congregazione.
Anche l’abbigliamento dei bambini durante le adunanze riflette questo codice: maschietti in camicia e pantaloni, femminucce con vestitini “modesti”, spesso più “formali” di quanto indosserebbe un adulto nella vita quotidiana.
b) Nella vita quotidiana: cosa è accettato e cosa no
Nella vita di tutti i giorni, i Testimoni di Geova non sono ufficialmente obbligati a mantenere lo stesso livello di formalità. Tuttavia, vige un codice morale interno che continua a influenzare le scelte anche fuori dalla Sala del Regno.
Per esempio, una sorella che esce con pantaloni attillati, una t-shirt corta o trucco pesante potrebbe comunque essere criticata da altri membri della congregazione. Non esistono sanzioni ufficiali, ma i giudizi, i “consigli spirituali” e i colloqui privati da parte degli anziani sono strumenti frequenti di pressione psicologica e conformismo.
Anche per gli uomini, magliette con loghi aggressivi, pantaloni troppo larghi o look “alternativi” sono visti con sospetto. L’idea di fondo è che il Testimone di Geova deve essere sempre un esempio vivente di “dignità e ordine”, anche quando fa la spesa o passeggia per strada.
c) Il concetto di “buon esempio” nell’aspetto
Tutto questo rigore sull’abbigliamento si basa su un principio centrale: quello di dare sempre un “buon esempio”. Ogni Testimone è considerato un rappresentante di Geova sulla Terra, e dunque deve curare la propria immagine in modo che rispecchi la “santità” della propria fede.
Questo principio, però, spesso diventa una forma di autocensura costante, in cui non si può mai essere davvero sé stessi, per paura di “dare una cattiva testimonianza”. Chi si veste in modo troppo personale o creativo rischia di essere escluso da ruoli pubblici nella congregazione, come letture dal podio, discorsi o incarichi da pioniere.
In pratica, l’abbigliamento dei Testimoni di Geova non serve a esprimere la propria individualità, ma a dimostrare obbedienza, disciplina e appartenenza.
4. Pantaloni e vestiario femminile: cosa è permesso e cosa è vietato
Testimoni di Geova e Bibbia: Setta o Vera Religione?
Un’indagine profonda su dottrine, controllo mentale e testimonianze inedite. Il libro per chi vuole conoscere la verità dietro una delle religioni più controverse del nostro tempo.
a) Le sorelle possono indossare i pantaloni?
Tecnicamente sì: le donne Testimoni di Geova possono indossare i pantaloni, ma solo in contesti specifici e con alcune riserve non scritte ma largamente applicate nella pratica. Non esiste un divieto formale nelle pubblicazioni ufficiali, ma c’è un’impostazione culturale che associa l’abbigliamento femminile “appropriato” alle gonne e ai vestiti.
Durante le adunanze, alle assemblee e nei momenti in cui si svolge il ministero di predicazione porta a porta, l’uso della gonna è praticamente obbligatorio. Una sorella che si presentasse in pantaloni, per quanto sobri, verrebbe considerata irrispettosa o, nella migliore delle ipotesi, poco spirituale.
Il messaggio che passa è chiaro: la modestia e il rispetto verso Geova si manifestano anche attraverso l’aderenza a uno stile “femminile tradizionale”, dove la distinzione tra i sessi deve essere visibile anche nell’abbigliamento.
b) Abbigliamento sportivo e casual: dove finisce la libertà
Nella vita quotidiana, come per esempio durante lo sport, i lavori domestici o il tempo libero, le sorelle possono indossare pantaloni, ma sempre con un occhio attento al decoro, alla larghezza del tessuto, alla lunghezza della maglia che li accompagna.
Leggins, pantaloni aderenti, top corti o scollati sono sconsigliati o addirittura malvisti, anche se non si è in un contesto pubblico o spirituale.
La linea di confine tra ciò che è tollerato e ciò che è condannato non è mai esplicita, ma viene interpretata e applicata soggettivamente dalla congregazione. Per questo, molte sorelle si sentono costantemente sotto osservazione, persino quando si vestono per andare al supermercato o a una passeggiata.
Questa ambiguità genera ansia, autocensura e sensi di colpa, soprattutto tra le giovani che desiderano vestirsi alla moda o semplicemente sentirsi a proprio agio nel proprio corpo.
c) I giudizi sociali interni alla congregazione
Nel mondo dei Testimoni di Geova, non sono solo le regole ufficiali a plasmare il comportamento, ma anche — e soprattutto — i giudizi sociali. Un’anziana o una sorella “spirituale” può fare osservazioni indirette (“hai visto come si veste quella ragazza?”), che bastano per creare un clima di pressione e conformismo silenzioso.
Questo sistema non scritto è potente e pervasivo, perché si basa sull’idea che ogni scelta visibile sia una “testimonianza” della tua spiritualità. Se ti vesti in modo troppo moderno, audace o poco convenzionale, rischi di essere etichettata come “debole spiritualmente”, e potresti vedere compromesse le tue relazioni all’interno della congregazione, comprese le opportunità sentimentali.
In altre parole: non basta rispettare le regole minime, bisogna apparire costantemente come un modello spirituale — anche nella scelta dei pantaloni.
5. Barba, capelli, piercing e tatuaggi
a) Gli uomini possono avere la barba?
i) La regola “non scritta” in evoluzione
In teoria, la Bibbia non vieta affatto la barba, e anzi in molte culture bibliche era considerata un simbolo di saggezza e rispetto. Tuttavia, nella cultura dei Testimoni di Geova la barba è stata per decenni fortemente scoraggiata, tanto da diventare un vero e proprio tabù non ufficiale.
Negli anni ‘60-’70, portare la barba veniva associato alla ribellione, al movimento hippie o a stili di vita “mondani”, motivo per cui l’organizzazione fece passare il messaggio che un vero fratello spirituale doveva sempre presentarsi ben rasato. Non era scritto nero su bianco, ma nessun uomo con la barba veniva mai visto sul podio, né riceveva incarichi teocratici.
Negli ultimi anni, in alcune nazioni la posizione si è leggermente ammorbidita: ci sono fratelli che portano barba corta e curata senza essere per questo ripresi. Tuttavia, la mentalità resta fortemente condizionata, e chi sceglie di lasciarsi la barba spesso viene considerato “poco spirituale” o “poco rispettoso”.
In sintesi: non c’è un divieto ufficiale, ma chi vuole fare carriera all’interno dell’organizzazione… è meglio che tenga il viso pulito.
b) Acconciature ritenute inappropriate
Anche i capelli sono oggetto di regolamentazione implicita. Per gli uomini, i capelli devono essere corti, ordinati e tradizionali. Tagli vistosi, creste, rasature laterali, tinte o stili considerati “alternativi” possono causare problemi, anche se non formalmente vietati.
Per le donne, capelli troppo corti, rasature, colorazioni eccentriche o acconciature considerate “mascoline” vengono visti con sospetto. Ancora una volta, la linea guida non è scritta, ma passa attraverso i giudizi della congregazione, gli sguardi e i “consigli spirituali” dati in privato.
L’apparenza deve sempre comunicare “modestia, buon gusto e spiritualità”. Qualsiasi espressione personale che si allontani da questo schema può diventare motivo di esclusione sociale o emarginazione teocratica.
c) I Testimoni di Geova possono avere tatuaggi o piercing?
Ufficialmente, i tatuaggi e i piercing non sono proibiti con una regola scritta, ma sono fortemente scoraggiati sulla base del principio biblico contenuto in Levitico 19:28, che parla di “non incidere segni sul corpo”. Sebbene quel versetto abbia un contesto storico ben preciso, l’organizzazione lo interpreta come una condanna generale verso ogni forma di modifica corporea permanente.
Chi si converte ed è già tatuato non è obbligato a rimuovere i tatuaggi, ma potrebbe ricevere pressioni a coprirli in pubblico. Farne di nuovi, invece, è considerato un segno di superficialità, mondanità o ribellione. Lo stesso vale per i piercing: sono tollerati solo se piccoli e discreti, e solo per le donne. Piercing multipli, al naso, alla lingua o in altre parti del corpo sono visti come inaccettabili.
In breve, anche sull’estetica il principio dominante è sempre lo stesso: adeguarsi, omologarsi, non spiccare. Il corpo deve rispecchiare il “decoro spirituale” della congregazione.
6. L’abbigliamento dei bambini e degli adolescenti
a) Come devono vestirsi i figli dei Testimoni
Fin dalla tenera età, i figli dei Testimoni di Geova vengono educati a indossare abiti “modesti, ordinati e rispettabili”, in linea con lo standard stabilito dall’organizzazione. Questo vale non solo per le adunanze alla Sala del Regno o per le assemblee, ma anche per le uscite nel ministero di campo (la predicazione porta a porta).
I maschi, anche molto piccoli, vengono spesso vestiti con camicia, pantaloni eleganti e talvolta persino giacca e cravatta, per dare un’immagine “matura e spirituale”. Le bambine, invece, indossano vestitini, gonne sotto al ginocchio e bluse chiuse fino al collo, senza elementi appariscenti o troppo infantili.
Persino i neonati vengono spesso portati alla Sala del Regno con abiti da “mini adulti”, trasmettendo fin da subito il messaggio che l’apparenza è parte della fede.
b) Le pressioni già in giovane età
Anche se i bambini non subiscono vere e proprie sanzioni, l’ambiente crea una forte pressione fin dall’infanzia per aderire a standard di abbigliamento ben precisi. Questo condiziona profondamente la percezione del corpo e dell’identità personale già in fase pre-adolescenziale.
Quando i bambini iniziano ad andare a scuola, possono già sentirsi diversi dai coetanei: niente cartoni animati con magia o supereroi sulle magliette, niente vestiti alla moda, niente pantaloni per le femmine nelle occasioni “spirituali”. Questo spesso genera un senso di isolamento, vergogna o bisogno di giustificarsi, soprattutto nei contesti extrascolastici.
Gli adolescenti, poi, vivono una doppia pressione: da un lato quella della congregazione, che esige decoro e sobrietà, dall’altro quella dei coetanei del “mondo”, che vivono la moda come espressione di libertà. In mezzo, il giovane Testimone rischia di non potersi sentire mai a proprio agio, né in un contesto né nell’altro.
In sintesi, l’abbigliamento non è mai solo un fatto estetico, ma uno strumento educativo e identitario. Serve a formare una personalità allineata all’organizzazione, abituata a obbedire anche nei dettagli apparentemente più innocui.
7. Le sanzioni “sociali” per chi non si veste come previsto
a) Esclusione, pettegolezzi e ammonimenti
Tra i Testimoni di Geova non esistono vere e proprie “pene scritte” per chi trasgredisce il codice estetico, ma ciò non significa che le conseguenze siano leggere. Anzi, le sanzioni sono di tipo sociale, emotivo e relazionale, e possono risultare molto più invasive di una semplice regola.
Chi si presenta con abiti ritenuti “inappropriati” — troppo attillati, vistosi, scollati, o semplicemente fuori dallo standard sobrio della congregazione — rischia di essere oggetto di pettegolezzi, sguardi di disapprovazione e isolamento silenzioso.
Il giudizio avviene spesso in modo sottile e pervasivo: commenti velati tra sorelle, sguardi da parte degli anziani, esclusione da incarichi pubblici come letture o preghiere. In alcuni casi, le giovani sorelle possono addirittura veder compromesse le loro possibilità matrimoniali all’interno della congregazione, in quanto etichettate come “poco spirituali” solo per aver indossato un capo considerato inappropriato.
In sostanza, l’abbigliamento diventa una misura del valore morale e della spiritualità, e chi non si uniforma viene trattato come un esempio negativo.
b) Colloqui con gli anziani e pressioni psicologiche
Quando il “problema dell’abbigliamento” viene considerato persistente o “di cattivo esempio”, gli anziani della congregazione possono richiamare privatamente la persona interessata. Si tratta di colloqui definiti “pastorali”, ma che in realtà sono incontri di ammonimento.
Questi colloqui, spesso gestiti da tre uomini adulti verso una singola sorella (anche minorenne), possono essere molto invasivi. Non ci sono testimoni esterni, né la possibilità di difendersi: tutto si basa su giudizi soggettivi, precedenti “osservazioni” e ciò che si ritiene spiritualmente dannoso per la congregazione.
Le pressioni psicologiche possono essere intense: viene fatto leva sul senso di colpa, sulla paura di “far inciampare altri”, sull’eventuale perdita di incarichi o reputazione. Spesso, il messaggio è che una sorella dovrebbe dare il buon esempio non solo con le parole, ma anche con l’aspetto esteriore.
Questa dinamica crea una cultura del controllo che penetra nella vita personale, fino a rendere difficile distinguere ciò che si fa per fede e ciò che si fa per non essere esclusi.
8. Esperienza personale: il giorno in cui mi guardai allo specchio e non mi riconobbi più
a) Quando mi resi conto che il mio stile non era più mio
Ricordo bene quel giorno. Ero davanti allo specchio, vestito in modo perfetto per l’adunanza: camicia chiusa fino all’ultimo bottone, pantaloni stirati, scarpe lucide. Tutto era in ordine, tutto trasmetteva l’immagine del bravo ragazzo spirituale. Ma quello che vidi riflesso… non sembrava più me.
Mi resi conto che, pezzo dopo pezzo, avevo smesso di scegliere davvero chi essere. Non solo nei vestiti, ma anche nei gesti, nei pensieri, nel modo in cui parlavo. Ogni giorno, ogni dettaglio era diventato una risposta automatica a un’aspettativa. Non stavo vivendo, stavo interpretando un ruolo.
Mi sembrava di vedere un contenitore vuoto: un involucro che rispettava tutte le regole, ma che dentro non aveva più spontaneità, desiderio, libertà.
E la cosa peggiore? Avevo iniziato a pensare che fosse normale.
b) Il momento in cui decisi di vestirmi per me, non per l’organizzazione
Non fu una ribellione rumorosa. Non ci fu una rottura plateale. Solo una presa di coscienza lenta e profonda. Avevo passato anni a reprimere ogni espressione personale, a temere il giudizio di chi mi osservava, a indossare quello che “dovevo”, e non quello che volevo.
Quel giorno, però, qualcosa cambiò. Mi chiesi: “Se domani non ci fosse più nessuno a guardarmi, se non avessi da rendere conto a nessuna congregazione… come mi vestirei? Come mi muoverei? Come parlerei?”
La risposta fu chiara: mi vestirei per me. Mi mostrerei per come sono davvero. Mi sentirei di nuovo libero.
E fu lì che iniziò il mio distacco, prima silenzioso e interiore, poi sempre più netto. Ogni scelta che tornava nelle mie mani era un frammento di identità che recuperavo. E con ogni capo di abbigliamento scelto non per dovere, ma per piacere, ricostruivo la mia libertà.
9. I miei libri: l’abbigliamento come simbolo di controllo
a) Testicoli di Genova: tra cravatte imposte e gonne giudicate
Nel mio libro Testicoli di Genova, affronto con tono satirico e graffiante molte delle contraddizioni e rigidità vissute all’interno della congregazione. Tra queste, l’ossessione per l’abbigliamento emerge come uno degli aspetti più emblematici del controllo esercitato sull’identità personale.
Ho visto fratelli ammoniti perché non indossavano la cravatta giusta, e sorelle guardate con sospetto solo per una gonna considerata “di due dita troppo corta”. Le apparenze non erano semplici dettagli, ma strumenti per misurare la spiritualità. Più eri sobrio, più sembravi sottomesso, più venivi apprezzato.
Attraverso episodi ironici e paradossali, racconto quanto sia facile perdere se stessi dietro una camicia stirata o un sorriso da adunanza, e quanto sia difficile, poi, ritrovare la propria voce dietro l’uniforme.
b) Testimoni di Geova e Bibbia: l’apparenza conta più della fede?
Nel mio secondo libro, Testimoni di Geova e Bibbia, analizzo con tono più saggistico le distorsioni dottrinali e organizzative di questo sistema religioso, incluso il modo in cui l’abbigliamento viene elevato a valore spirituale.
Il messaggio che passa è chiaro: ciò che indossi rappresenta ciò che sei davanti a Geova. Ma è davvero così che funziona la fede? È possibile che un pantalone, una barba o una blusa possano determinare la salvezza o la dannazione spirituale di una persona?
Attraverso un confronto diretto tra le Scritture e le interpretazioni geoviste, smonto la retorica del decoro per mostrare come, spesso, l’apparenza venga usata per imporre conformismo, silenzio e paura del giudizio.
10. Conclusione: stile di vita o standard imposto?
Per chi guarda dall’esterno, le regole sull’abbigliamento dei Testimoni di Geova potrebbero sembrare solo una questione di “buon gusto” o rigore religioso. Ma chi ha vissuto dentro questo sistema sa che non si tratta semplicemente di stile, ma di conformismo. Ogni dettaglio — dal colore di una camicia alla lunghezza di una gonna — diventa una prova di obbedienza, una dimostrazione di lealtà all’organizzazione più che a Dio.
Il modo in cui ti vesti non esprime chi sei, ma quanto sei disposto a rinunciare alla tua identità per rientrare nello stampo imposto. E ogni scelta diversa comporta un prezzo: giudizi, pressioni, ammonimenti, esclusione.
È davvero spiritualità quella che ti chiede di uniformarti in tutto? O è solo un altro modo per controllare chi sei, come ti mostri e, in definitiva, come pensi?
Chi è libero spiritualmente, non ha bisogno di un regolamento estetico per dimostrarlo. Chi vive la fede con autenticità non ha paura di essere se stesso, dentro e fuori.
E allora, forse, la vera domanda non è come si vestono i Testimoni di Geova, ma: perché devono vestirsi tutti allo stesso modo?
0 commenti